ITALICUM.....una truffa aggravata... la democrazia diviene una vuota parola.
Prevista
per oggi l'approvazione alla Camera della legge elettorale Italicum: il
peggior sistema elettorale nella storia d'Italia, e tra quelli esistenti
in Europa.
Bisogna escogitare leggi elettorali, fondate sul presupposto seguente: siccome prevedo il risultato, devo
provvedere a truccarlo.
Il sistema elettorale proporzionale è l'unico strumento che
rispetti il principio del suffragio universale e uguale.
Il
sistema proporzionale è l'unico sistema elettorale democratico.Solo il
proporzionale garantisce che il voto di tutti i cittadini sia veramente
«eguale» .
CON L'APPROVAZIONE DELLA TRUFFA AGGRAVATA DELL'ITALICUM STANNO UCCIDENDO LA DEMOCRAZIA.
Piero Calamandrei, L’incoscienza costituzionale
Settembre 1952
La democrazia diventa
una vuota parola quando il partito che si è servito dei metodi
democratici per salire al potere è disposto a violarli pur di rimanervi:
il che può farsi, anche senza bisogno di mettere fuori legge gli
oppositori, con qualche ben studiata revisione costituzionale, od anche
semplicemente con qualche trucco elettorale che permetta al partito che è
al potere di rimanervi anche quando nel Paese sia diventato minoranza.
La Costituzione, per il Parlamento democratico, dove essere un prius,
una premessa che si rispetta e non si discute: qualcosa che sta al
disopra dei partiti, che è un limite per la stessa maggioranza. Ma la
conclusione, prima appena sussurrata, poi in questi ultimi tempi
apertamente proclamata, è venuta da sé: non è il governo che deve
adattarsi alle esigenze della Costituzione, è la Costituzione che deve
conformarsi alle esigenze di questo governo. Se questo governo la
preferisce così, non c’è proprio ragione di complicare con intralci
costituzionali, per fortuna rimasti soltanto sulla carta, questo
ingranaggio che va da sé così liscio. Questa non è la Costituzione fatta
dal popolo italiano per il popolo italiano: questa, è la Costituzione
fatta perché la maggioranza democristiana possa continuare per omnia
saecula a rimaner maggioranza. La constitution, c’est moi: il programma fu già enunciato trent’anni fa, si riassunse fin da allora in un motto: “durare”.
La costituzione?
Incompiuta era e incompiuta resta – Una Costituzione al servizio della
maggioranza che vuole rimanere maggioranza – La revisione
costituzionale? La democrazia diviene una vuota parola – È possibile
sovvertire la forma istituzionale dello stato? – La riforma delle legge
elettorale? Un trucco legalizzato.
La costituzione? Incompiuta era e incompiuta resta
Alla vigilia della
chiusura della prima legislatura, il popolo italiano ha diritto di
chiedere al Parlamento (che poi vuol dire al governo) che cosa ha fatto,
in questi cinque anni, della Costituzione repubblicana: di questa
Costituzione che ebbe in custodia cinque anni fa, e che oggi dovrebbe
restituire in buono stato, al momento delle nuove elezioni, al popolo
che gliela affidò.
Cinque anni fa, appena
chiusi i lavori dell’Assemblea costituente, la Costituzione era come un
edificio monumentale (in materia costituzionale i paragoni edilizi sono
di stile) tirato su nelle mura maestre, ma ancora mancante di qualche
parete divisoria, di qualche scala interna e della cuspide.
L’imprenditore, nonostante la sua buona volontà, non era riuscito, in un
anno di lavoro intenso, a consegnare la costruzione finita; ma tutti
sapevano che il suo successore, che trovava i materiali già ammassati
nel cantiere, avrebbe potuto agevolmente, in pochi mesi, portare a
compimento l’impresa secondo i disegni già approvati dal progettista.
Sono passati cinque anni, e tutto è allo stesso punto. Incompiuta era, e
incompiuta è.
Ma limitarsi a
osservare che tutto in questi cinque anni è rimasto immutato, è forse
peccare di ottimismo: non si lascia una muratura a mezzo per cinque anni
senza che essa cominci a andare in rovina: sotto i venti che soffiano
dalle aperture del tetto, la calcina comincia a sgretolarsi; e le
impalcature, abbandonate sul posto, imputridiscono sotto la pioggia.
Se invece che in tema
di mandato parlamentare si fosse veramente in tema di contratto
d’appalto, questo imprenditore scervellato o disonesto, che per cinque
anni avesse lasciato andare in malora così il lavoro affidatogli,
andrebbe incontro a brutti guai. Nessuno lo salverebbe da una condanna
ai danni: e forse, poiché i muri lasciati a mezzo costituiscono un
continuo pericolo di crollo, rischie-rebbe di andare a finire in
prigione.
La Costituzione, come
ognuno sa, è divisa in due parti: la prima tratta dei diritti e doveri
dei cittadini; la seconda dell’ordinamento della repubblica, cioè della
struttura degli organi con cui si esercita il potere. Per ora il
bilancio del costruttore si può limitare alla seconda parte, quella più
propriamente architettonica. Della prima è meglio tacere.
E inutile infatti
parlare delle norme contenute nella prima parte, quelle che si
riferiscono ai diritti individuali dei cittadini, civili, politici e
sociali. Esse sono lì da cinque anni, chiuse nelle loro scatole, come
misteriosi ordigni di cui si ignora l’uso (e speriamo che non
s’arrugginiscano). Fanno venire in mente l’avventura di certi ospedali
di provincia che, per la munificenza di un benefattore locale, hanno
potuto acquistare un armamentario chirurgico ultramoderno: ma gli
strumenti rimangono lì, nelle vetrine, ognuno nel suo astuccio, perché
non si trova il chirurgo che li sappia adoperare.
Così è accaduto,
finora, delle norme programmatiche, che dovevano servire a iniziare le
tanto vantate riforme di struttura economica: quelle che promettevano ai
poveri non la ricchezza, ma un po’ meno di miseria, ai disoccupati non
l’elemosina, ma un po’ di lavoro. Forse in avvenire si troverà chi saprà
adoprarle; ma per oggi è meglio pensare al riarmo, che è una medicina
un po’ antica, ma sempre (al dir dei vecchi pratici) di sicuro effetto
pacificatore.
E così è meglio non
parlare di quelle norme che dovevano garantire ai cittadini i diritti di
libertà. Anche queste sono sempre nuove ed intatte nelle loro custodie
di velluto, perché il governo, per non consumarle, ha preferito non
adoprarle. Per amministrare la libertà di opinione, o la libertà della
cultura, o la libertà delle confessioni religiose non c’è stato bisogno
di scomodare la Costituzione: bastano le elastiche disposizioni della
benemerita legge di pubblica sicurezza, che da vent’anni ha reso, senza
discontinuità, tanti servizi. […]
Nei primi anni di
questa legislatura qualche ingenuo poté credere che la lentezza colla
quale il governo si accingeva a sbrigare questa eredità di lavoro
lasciata dalla Costituente derivasse dalla difficoltà di certi problemi
tecnici ed anche dalla necessità di dare la precedenza a leggi ordinarie
di carattere urgente. Ma oggi, a distanza di cinque anni, la ingenuità
diventerebbe dabbenaggine.
La verità è che nel
piano politico della maggioranza parlamentare e del suo governo vi è
stata non tanto mancanza di volontà di compiere la Costituzione, quanto
deliberata volontà di lasciarla incompiuta. […]
Una Costituzione al servizio della maggioranza che vuole rimanere maggioranza.
Ma ormai, a cinque
mesi dalla chiusura, quel che non è stato fatto, non si farà più. Questi
cinque mesi che rimangono basteranno appena per fabbricar la nuova
legge elettorale che servirà a questa maggioranza per rimaner
maggioranza.
Rimaner maggioranza:
perché qui è, in sostanza, il segreto di questa quinquennale
inadempienza costituzionale. Così finirà, con una dichiarazione di
inadempienza, questa prima legislatura repubblicana, che doveva essere
la prima prova di costume costituzionale della nuova democrazia
italiana. Sui programmi politici i partiti potevano esser discordi; ma
sull’ossequio alla Costituzione pareva che non vi fosse possibilità di
dissenso. Era un impegno non solo di legalità ma di onore, che la
Costituente (e attraverso la Costituente tutta l’Italia uscita rinnovata
dalla guerra di liberazione) aveva trasmesso al nuovo Parlamento: un
impegno sacro, tanto che un deputato cattolico aveva proposto di
intitolare la Costituzione repubblicana al nome di Dio.
Nella piattaforma
elettorale su cui si fecero le elezioni del 18 aprile, l’immediata
integrazione della Costituzione era, per tutti i partiti, un punto fuori
di discussione: non era neppure pensabile che un Parlamento nato dalla
Costituente potesse tradire l’impegno costituzionale che la Costituente
gli aveva trasmesso. La Costituzione, per il Parlamento democratico,
doveva essere un prius, una premessa che si rispetta e non si discute:
qualcosa che stava al disopra dei partiti, che era un limite per la
stessa maggioranza.
E invece la
maggioranza democristiana, magnitudine sua laborans, è stata portata
dalla sua stessa onnipotenza schiacciante a identificare la Costituzione
con sé medesima; le sorti della Costituzione colle sue proprie sorti
elettorali. Padrona del governo, si è accorta che chi governa può
benissimo fare a meno di tutti quei controlli costituzionali che lo
spirito romantico dell’Assemblea costituente aveva sognato. La Corte
costituzionale, l’indipendenza della magistratura, il referendum
popolare, bellissimi temi per conferenzieri da circoli rionali; ma in
pratica, intralci micidiali per chi è al potere e vuol rimanerci. E
allora la conclusione, prima appena sussurrata, poi in questi ultimi
tempi apertamente proclamata, è venuta da sé: non è il governo che deve
adattarsi alle esigenze della Costituzione, è la Costituzione che deve
conformarsi alle esigenze di questo governo. Se questo governo la
preferisce così, non c’è proprio ragione di complicare con intralci
costituzionali, per fortuna rimasti soltanto sulla carta, questo
ingranaggio che va da sé così liscio. Questa non è la Costituzione fatta
dal popolo italiano per il popolo italiano: questa, è la Costituzione
fatta perché la maggioranza democristiana possa continuare per omnia
saecula a rimaner maggioranza.
La constitution, c’est moi: il programma fu già enunciato trent’anni fa, si riassunse fin da allora in un motto: “durare”.