venerdì 23 agosto 2013

Luciano Canfora: L’UE, inattesa realizzazione del sogno di Hitler.........

 Luciano Canfora: L’UE, inattesa realizzazione del sogno di Hitler.......

 

  

  “Mi chiedo che cosa significhi questa ideologia europeista. Ne deduco che esista un valore denominato Europa. Ma allora vorrei capire se esiste anche un valore Asia o Africa. Perchè non dichiararsi asiatisti o africanisti, piuttosto che europeisti? E l'Australia, dove la mettiamo? Non si sente l'esigenza di uno spirito australianista?” 

Luciano Canfora, noto filologo e appassionato studioso di storia antica, ha recentemente dato alle stampe la sua ultima fatica (“Intervista sul potere”, ed. Laterza), una lunga digressione sotto forma di intervista su una moltitudine di temi: dal senso della democrazia a Napoleone, da Mao ai rapporti tra Sparta ed Atene, da Tucidide all'Euro. E proprio sul senso politico e sociale di quest'ultimo dedica l'ultimo capitolo, intitolato significativamente “Elite e popolo”. 

 

Messo sotto fuoco incrociato lo spirito internazionalista, ciò che le élites propongono in sua vece è una poco elegante riduzione linguistica del coacervo di interessi che ha spostato e sta spostando immense somme di denaro dalle tasche dei cittadini alle loro. Ciò avviene nel nome di quella dottrina europeista che riempie quotidianamente pagine di giornali e programmi televisivi. Dottrina che permette all'AD della Fiat di delocalizzare lasciando a casa migliaia di lavoratori. “Non bastano i vantaggi che mi offre l'Italia, dichiara Marchionne, perchè se vado in Serbia posso guadagnare di più…mi da un certo fastidio chi sostiene chi ci siano “dottrine” adatte a giustificare comportamenti del genere. Tutto dipende, ripeto, dai rapporti di forza.”
A tale riguardo la denuncia di Canfora è precisa: “l'equilibrio delle forze si è spostato nettamente a favore di questi ceti tecnocratici ristretti, che non intendono farsi governare dal potere politico. Al contrario, sono essi che non solo lo influenzano, lo rimbrottano e lo limitano, ma addirittura lo contrastano apertamente e lo soverchiano”.
Quindi lo scenario attuale vede un apparato politico (che dovrebbe regolamentare la vita sociale nel nome del massimo profitto per i cittadini) succube di quelle forze elitiste, e si ritrova ad assecondare ogni loro capriccio, semantica inclusa. Tutto ciò si traduce in una “perdita di sovranità degli Stati nazionali, in particolare dell'Italia, rispetto all'influenza dei mercati finanziari.”
Questo stato di cose, nel quale i cittadini sono destinati a perdere sempre più potere a favore delle élites, è determinato da un processo ben definito: “via via che si internazionalizza la produzione cresce enormemente il potere di ricatto della grande industria e delle banche.
La globalizzazione è quindi quel processo che permette a grandi industrie e banche di entrare a pieno titolo nelle aule parlamentari per far valere i propri interessi a tutto svantaggio di quelli dei cittadini. Ma il profitto (di cui banche e corporation sono gli attuali maggiori difensori) non è anche fautore dello sviluppo? “Il problema è esattamente questo: se si debba ritenere che il profitto sia un valore assoluto, in quanto unico possibile motore dello sviluppo, o se lo sviluppo stesso possa essere un fatto sociale, che non si basa necessariamente sul tornaconto individuale. E' un dilemma con cui siamo alle prese da secoli. Io sono convinto che i capitalisti non siano benefattori dell'umanità e che la crescita economica non passi necessariamente per l'esaltazione di un egoismo esasperato, individuale o collettivo.”
Eppure ci dicono che le attuali politiche europee siano l'unico approdo sensato per evitare il disastro del ritorno alle monete locali. “Io contesto alla radice l'attuale retorica europeista. Ci viene fatto credere che questo tipo di costruzione, che notoriamente ci penalizza rispetto alla megapotenza tedesca, sia l'unica possibilità di realizzare delle aggregazioni significative a livello internazionale. Invece ne esistono altre.”
L'intervistatore a questo punto pone una domanda essenziale: “Lei giudica l'ingresso nell'euro una scelta fallimentare?” “Sì. Capisco il PD che la difende, ma è solo perchè non ha altro da dire. Se si toglie l'euro, che ci ha rovinati, tutta l'esperienza di governo del centrosinistra, con Romano Prodi e con Carlo Azeglio Ciampi, è finita. Che cosa hanno combinato gli eredi del PCI, da quando quel partito si è sciolto? Hanno procurato agli italiani un po' di miseria in più tramite la scelta di entrare nell'euro, compiuta per giunta in modo autocratico, senza alcun referendum. Mi sembra piuttosto che stiamo smantellando metodicamente lo Stato sociale proprio in nome dell'Europa…siamo di fronte a un'enorme ondata di disagio e di rifiuto da parte dei cittadini, ai quali è stato impedito di dire la loro quando dall'alto calavano decisioni pesantissime o, peggio ancora, presentate in maniera ingannevole. L'introduzione dell'euro venne esaltata come un grande passo in avanti e invece ha portato al dimezzamento dei salari. Facciamo una terapia di salasso dei contribuenti e di macelleria sociale senza limiti solo per poter dire che l'Europa, cioè la Germania con i suoi vassalli nordici, è una grande potenza? Non mi pare un valore per cui sacrificarsi. Non abbiamo un governo (se ce l'abbiamo, è quello tedesco), non abbiamo un esercito, non abbiamo una statualità di tipo elvetico o statunitense. Abbiamo solo una moneta, che serve alla Germania per imporre all'eurozona i suoi prodotti, peraltro validissimi, mentre noi italiani rinunciamo ad avere una forza espansiva sui mercati. Inoltre, per puntellare tutto ciò, bisogna bastonare la Grecia, mettere in ginocchio la Spagna, schiaffeggiare il Portogallo, stangolare Cipro….Ma neanche la Santa Alleanza arrivava a tanto. E non si intravede una prospettiva a questo calvario.

Dall'analisi appena letta sembra che non esista attualmente alcuna alternativa, nessuna "exit strategy". E invece… “Secondo me i tedeschi terranno in piedi l'euro finchè farà comodo alla loro economia, ma hanno già pronta una via di uscita. Tutta l'Europa orientale è ai loro piedi. Polacchi, sloveni, slovacchi, romeni, bulgari sono in ginocchio con il piattino in mano e riconoscono la Germania come paese leader. In fondo così si realizza il grande sogno del Fuhrer, il primo vero “europeista”. L'unico suo errore fu pensare di raggiungere quel risultato con i carri armati.”
Bene, le Merkel ha raggiunto quegli scopi europeisti che Hitler non riuscì a portare a termine. Evidentemente l'euro è ben più potente dei carri armati. A parità di manipolazione mediatica e propaganda, s'intende. Ma esiste una qualche cura, un vaccino contro questo morbo che ha ormai infettato tutta l'Europa? “A mio parere, il luogo dove le tendenze oligarchiche dominanti possono e devono essere messe in discussione è il laboratorio immenso costituito dal mondo della formazione e della scuola..è lì che l'educazione antioligarchica, su base critica, può farsi strada.

 Fonte:http://www.appelloalpopolo.it/?p=9318

                                                                  

Guerra e politica, Oriente e Occidente, religione e potere, libertà e giustizia: sono alcuni dei temi che troveremo in questa Intervista. Partendo dall’esperienza del mondo classico per giungere fino all’attuale crisi delle cosiddette democrazie, Canfora mette in campo la sua competenza di conoscitore dell’antichità nonché la sua passione di intellettuale alieno dai luoghi comuni del pensiero unico.
Aumenta il profitto di pochi e si riduce il reddito di molti. Il dogma qual è? Che il profitto non si tocca, è sacro, così come è diventato sacro lo strapotere bancario e speculativo. Non c’è quasi più bisogno di contese elettorali. È qui la lezione amara. È qui che l’”europeismo” d’accatto perde la maschera.
I suoi giudizi non risparmiano neanche ciò che un tempo si chiamava la sinistra e che oggi sembra smarrita al rimorchio di un’inquietante degenerazione oligarchica.

Democrazia e oligarchie - Dialogo Canfora-Zagrebelsky - I parte 

 Prima parte del dialogo tra Luciano Canfora e Gustavo Zagrebelsky su "Democrazia e oligarchie" dell'8 luglio 2013, nell'Archiginnasio di Bologna. Modera Giuseppe Laterza.

 

LE NUOVE OLIGARCHIE- ECCO COME IL POTERE SVUOTA LA DEMOCRAZIA- stralcio di parte di Dialogo “Democrazia e oligarchie” tra Luciano Canfora e Gustavo Zagrebelsky – 6 luglio 2013

Gustavo Zagrebelsky   Nell’ultima pagina dell’Intervista sul potere, a cura di Antonio Carioti,  tu fai cenno al ritorno alla prevalenza delle oligarchie, dopo due secoli di lotte democratiche, come un problema molto grave del mondo in cui viviamo. Mi piacerebbe partire da qui per questo nostro dialogo, di cui il tuo libro-intervista costituisce l’occasione.  Anche a me sembra che questa sia la questione politica principale del nostro tempo. Qui c’è forse la chiave per comprendere l’incomprensibile, a iniziare dalla fine della politica e dal trionfo della tecnica, che nasconde alla vista il potere, le sue forme, i suoi attori.
In un recente saggio apparso su Micromega, ho definito l’oligarchia come il regime della disuguaglianza, del privilegio, del potere nascosto e irresponsabile, cioè del governo concentrato tra i pochi che si difendono dal cambiamento: sempre gli stessi che si riproducono per connivenze, clientele. Le forme della democrazia vacillano, ma non sono travolte.
(…)
Luciano Canfora Penso soprattutto a fenomeni macroscopici e istruttivi al tempo stesso. Facciamo un esempio. Il Presidente degli Stati Uniti viene eletto (e sia pure da una minoranza degli aventi diritto, dato l’assenteismo patologico dell’elettorato statunitense) ma le decisioni fondamentali le prendono altri: forze decisive e retrosceniche che possono in fondo infischiarsene dei riti elettorali. Ai fini dell’egemonia politico-militare è necessario un disinvolto e illegale spionaggio informatico? Il Presidente forse ne ignora persino l’esistenza, ma esso viene praticato, da chi ne ha il potere, senza scrupoli anche a costo di gravi crisi con i cosiddetti alleati europei non meno che con gli antagonisti russi o cinesi. Il Presidente predica contro il fiorente e libero commercio delle armi, i cui effetti sono atroci? Ma la potentissima lobby dei produttori di armi paralizza ogni decisione in proposito. Questa è la sostanza della macrorealtà americana, questo è, via via, il modello che si afferma per ogni dove.
Michels aveva intuito una “legge” ma la realtà da lui studiata era piccola cosa rispetto a quella inquietante e brutale che è sotto i nostri occhi. L’analisi di Michels e dei suoi maestri elitisti si riferiva a formazioni politiche ottocentesche o protonovecentesche come i partiti politici o più in generale la classe politica. Il problema è che essa è stata soppiantata nel suo ruolo, pur restando al suo posto, da forze di ben altra dinamicità, consistenza e potenza, totalmente sottratte al “gioco” elettorale o alla “verifica” popolare. Sono queste le nuove oligarchie. L’imperativo del momento è riuscire a squadernarne la natura e la dominanza: prima di tentare di combatterle. Ci vorrebbe un nuovo Marx, capace di studiare il potere economico-finanziario del tempo presente e del prossimo venturo!
Purtroppo per ora ci dobbiamo accontentare dei talmudisti (invero sempre meno numerosi), protesi alla chiosa del Marx “antico”, laddove la realtà che ci sta di fronte e ci sovrasta domanda ormai di essere “disvelata” sin dalla radice. E senza la compiacente e reticente benevolenza dei “tecnici”, competenti certo, e però complici dei nuovi poteri che reggono le fila degli organismi decisivi.
Platone aveva sognato, nei libri centrali della Repubblica, che al vertice dello “Stato ideale” giungessero dei “filosofi-reggitori”, assurti con ascetica dedizione alla comprensione e contemplazione del sommo bene e del giusto e perciò legittimati a governare tutti gli altri. Al posto dei filosofi-reggitori, il nostro onnipotente, ricco e armatissimo «primo mondo» ha collocato i grandi conoscitori protagonisti della finanza. Essi sanno quello che vogliono, ma è da temere che non vogliano né il sommo bene né la giustizia.
Dunque la domanda da porsi, per intanto (poiché non è possibile attendere inerti e passivamente l’avvento del nuovo “grande analista” della modernità) è la seguente: in una situazione di questo genere quale possibilità vi è di riappropriarsi, come cittadini comuni, del potere di poter contare?
Gustavo Zagrebelsky Parli di “forze retrosceniche”. Sono sempre esistite. Che la politica “sulla scena” delle istituzioni sia una messinscena per distogliere gli occhi del pubblico dalla realtà del potere (che “sta nel nucleo più profondo del segreto”, ha scritto Elias Canetti) è un’idea realistica. Un tempo, il retroscena era visto come il luogo dell’oscurità, degli intrighi, dei complotti, delle cose indicibili: tutte cose negative, da combattere in pubblico, attraverso istituzioni veritiere. Pensiamo, per esempio, alla glasnost’ di Gorbacëv che, per un certo periodo, ha coltivato quest’idea. Oggi? Oggi siamo di fronte a qualcosa di nuovo. Le conseguenze sulla vita delle persone sono evidentissime, la matrice anche: il predominio dell’economia sregolata e manovrata dalla finanza speculativa. Ma è una matrice incorporea che, per ora, sembra inafferrabile, non stanabile “sollevando un velo”. Constatiamo il declino della politica, fino alla pantomima dei suoi riti: personaggi inconsistenti, che talora si presentano come “tecnici”, rivelandosi così esecutori di volontà altrui; “posti” come posta d’una lotta che, usurpando la parola, continua a chiamarsi politica; nessun progetto dotato d’autonomia; parole d’ordine tanto astratte quanto imperiose: lo chiedono “i mercati”, la “Europa”, lo “sviluppo”, la “concorrenza”. Questo degrado, che si manifesta macroscopicamente come immobilismo e consociativismo, è la conseguenza di quello che è oggi il vero “nucleo del potere”. Per poter essere contrastato con i mezzi della democrazia, deve essere innanzitutto compreso, senza fermarsi solo a deplorarne le conseguenze, scambiandole con le cause.
Tu poni la domanda cruciale: che fare affinché ci si possa riappropriare di almeno un poco dell’espropriata nostra capacità politica? Noi apparteniamo alla cerchia di chi esercita una professione intellettuale. Il nostro compito primario (non voglio dire esclusivo) è cercare di capire, non di cambiare il mondo. Sarà pur vero, come tu dici, che non sono alle viste nuovi Marx o Tocqueville. Ma il nostro compito, nel piccolissimo che è alla nostra portata, è di questa natura. Il che significa innanzitutto rifiutare il ruolo di consulenti che con tanta abbondanza questo sistema di sterilizzazione della politica offre a chi ci sta. Sarebbe già una bella rivoluzione.”

Fonte:http://www.iniziativalaica.it/?p=16322

 
Alcuni brani tratti dal pamphlet di Canfora “E’ l’Europa che ce lo chiede! (Falso!)” 



                                                 
E’ quasi una carducciana ‘nemesi storica’ il fatto che proprio l’Europa abbia deluso e stravolto lo scenario e le previsioni dell’europeista per antonomasia Altiero Spinelli. Proprio la costruzione europea infatti ha reso possibile, per il modo stesso in cui si è attuata (non già intorno ad una struttura statale ma intorno ad una struttura bancaria e alla conseguente velleitaria e artificiosa moneta unica), che le forze definite da Spinelli ‘establishment amministrativo ed economico’ prendessero nelle loro mani direttamente il potere decisionale insediandosi senza bisogno di passaggi ‘elettorali’ ma in nome di competenze ‘tecniche’ al posto di comando. Questo passaggio, che è effetto diretto dell’adozione precipitosa e anacronistica della ‘moneta unica’, ha tolto quasi ogni significato alla consolidata polarità destra/sinistra. (p. VIII-IX)
L”ideologia’, dichiarata defunta, ritorna in forme impreviste, e alquanto fatue, come ideologia dell’Europa, come valore in sé! L”europeicità’ è diventata la nuova ideologia, soprattutto presso la ex-sinistra. Qui alligna ormai sempre più spesso il monito intimamente compiaciuto e pensoso: ‘Ce lo chiede l’Europa!’. Un tale ritornello, che serve a tappare la bocca a qualunque rilievo critico, è solo una parte dell’ideologia ‘europea’. Si finge infatti che l’epiteto ‘europeo’ (di cui si ignorano peraltro il contenuto e il significato, nonché l’ambito geografico) possa, e anzi debba, riferirsi – qualificando e promuovendo – a un qualche oggetto o fatto o comportamento. Per non parlare della ‘prospettiva’ che è tenuta sempre ad essere ‘europea’ (…) Non vi è soltanto comicità involontaria in questo modo di pensare e di esprimersi. Vi è anche una istintuale ideologia soft-razziale. Tutto ciò che non è ‘europeo’ è peggio. (p. 21)
Al tempo nostro (…) la divaricazione partitica si è venuta incardinando su questioni non più sociali ma etico-individuali; e, soprattutto, la ‘forza direttrice a sé stante’ si è ‘delocalizzata’ fuori dei confini statali divenendo perciò stesso inattingibile, protetta e totalitaria nelle sue direttive e decisioni; tale ‘forza direttrice’ è nel potere bancario (BCE e FMI in primo luogo), che preferisce collocare d’autorità, al vertice degli Stati nazionali subalterni, direttamente suoi funzionari, saltando il fastidioso problema della conquista del consenso e del cimento ‘elettorale’. (p. 26)
L’Unione Europea (…) non divenne mai una unione politica, né di tipo elvetico né di tipo statunitense. La sua coesione politica rassomiglia più o meno a quella della Lega araba. Da oltre un decennio esiste (per i paesi i cui governi questo imposero) una moneta unica. Una moneta che non ha alle spalle né un governo né un’unità statale né un esercito. Ha una Banca Centrale che ha via via assunto il ruolo di governo effettivo: una surroga allarmante e ormai dotata di un potere immenso. I suoi voleri vengono comunicati, ai governi nazionali da mettere in riga, con lettere perentorie e semi-segrete. La lettera della BCE al governo italiano dell’agosto 2011 è bastata da sola per imporre al nostro paese un cambio di governo svincolato da una qualunque, pur possibile, espressione di volontà del corpo elettorale. (p. 27-28)
Poiché il problema più grave e più urgente è come uscire vivi dalla morsa dell’euro e dei ‘parametri di Maastricht’, è evidente che è su questo difficile terreno che una (eventuale) risorta sinistra dovrebbe cimentarsi, proporre soluzioni attuabili, battersi per attuarle. Certo, la cosa è resa difficile dalla circostanza (che è ben presente nella memoria dei più) che fu proprio la sinistra – o meglio ciò che allora si faceva passare per tale – a imporre l’entrata nell’euro come in una nuova e allettante terra promessa. (p. 34)
La creazione della moneta unica europea (lo si dice spesso) fu un assurdo perché non è mai esistita una moneta che non avesse alle spalle uno Stato. Ed è vero; ma a rigore lo Stato c’è, di cui l’euro è proiezione e strumento, ed è la Germania! (…) La creazione della moneta unica ha coronato il processo storico onde la Germania è divenuta (con l’unificazione e i successivi sviluppi ‘europeistici’) il vero vincitore della Seconda guerra mondiale (p. 36-37)
Dalla dichiarazione dei diritti del 1791 alle codificazioni istituzionali del Novecento (da Weimar al secondo dopoguerra) la ‘marcia dei diritti’ si è venuta svolgendo tra contrasti e conflitti che hanno lasciato segni e ferite indelebili. Ma sembravano, le costituzioni del secondo dopoguerra, aver determinato e stabilito un punto di non ritorno. Ora sappiamo che è possibile anche una marcia indietro, e che essa è incominciata. ‘Ce lo chiede l’Europa!’. (p. 76) 
Fonte: http://www.appelloalpopolo.it/?p=8611


FRANCESCO GESUALDI INTERVISTA LUCIANO CANFORA.

2 commenti:

  1. Alle teste pensanti tocca capire e spiegare. Mi chiedo se non sia giunto il momento di cominciare a pensare ad una resistenza come avvenne durante la seconda guerra mondiale, per sgretolare dal di sotto i piedi di questo colosso finanziario a difesa degli interessi delle multinazionali e della finanza.Mi chiedo se non sarebbe il caso di creare una rete reale di uomini e donne, che non possono rinunciare ai loro diritti e che vorrebbero vivere in un mondo più umano non a misura di mercati, spread banche e via discorrendo. E' possibile riappropriarsi della propria vita unendo insieme le forze comuni, ma soprattutto individuare gli strumenti di cui servirsi per strappare questo velo di menzogne costruito ad arte per farci capitolare, desistere ed accettare le catene che abbiamo già ai piedi. In un futuro prossimo le teste pensanti in quanto tali, dovranno avere la bontà di indicare la strada da seguire per essere come quei filosofi in testa alla Piramide di cui parlava Platone. In fondo i filosofi erano coloro i quali riuscivano con le loro tesi a fare breccia nel cuore degli individui e guidarli verso il sapere e la conoscenza.

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    1. Sono perfettamente d'accordo con te cara Antonella...

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