L'"agenda Bagnai" e la maldicenza e mediocrità molto
molto ..tenaci......

di Alberto Bagnai
E dopo che si fa?
Proviamo allora a unire i puntini.
Questa crisi richiede un deciso cambio di paradigma, che è fuori dalla portata di chi si ostina a difendere l’esistente, per difetto etico (collusione col potere, incapacità di ammettere un errore), o politico (incapacità di immaginare un cambio di rotta senza sopportare enormi costi in termini elettorali). Il nuovo paradigma, evidentemente, deve muovere dal superamento degli errori del vecchio, e da una percezione chiara, e articolata per priorità, dei problemi che abbiamo di fronte. Problemi, giova ricordarlo, che quando non sono stati creati, non sono stati nemmeno risolti dall’entrata nell’euro. Problemi, va anche detto, che non sono tutti alla nostra portata, né come singoli, né come collettività nazionale. Tuttavia se prima non si acquisisce una consapevolezza, è impossibile proporre un’azione politica tale da coinvolgere altri soggetti (siano essi il vicino di casa, o altre nazioni europee). L’agenda di quello che si può fare parte anche da una visione costruttiva, e non scaltramente distruttiva, di quello che non si può fare, o non da soli, o non adesso.
Il quadro sopra delineato chiarisce che l’uscita dall’euro, di per sé, non risolverebbe tutti i problemi. Ma questo nessuno potrebbe pensarlo, nessuno l’ha mai né creduto né detto né in Italia né altrove. Le analisi dei possibili percorsi di uscita dall’euro abbondano e sono facilmente consultabili su Internet. Da inventare c’è veramente poco, e nessuna fra le analisi proposte, che esamineremo in dettaglio, considera l’uscita dall’euro come risolutiva. Chi sostiene il contrario è disinformato o in cattiva fede.
Se abbiamo unito bene i puntini, l’agenda mi sembra sia evidente: bisogna smontare pezzo per pezzo le istituzioni partorite dai paradigmi fallimentari che hanno messo in crisi la nostra economia e soprattutto la nostra democrazia, seguendo quattro linee guida:
1) Uscire dall’euro, come affermazione di sovranità e di democrazia, riprendendo il controllo della politica valutaria.
2) Ristabilire il principio che la Banca centrale è uno strumento del potere esecutivo, e non un potere indipendente all’interno dello Stato.
3) Riprendere il pieno controllo della politica fiscale, non più costretta ad agire in funzione prociclica (cioè a rispondere alle crisi con tagli).
4) Adottare, nella misura consentita dagli atteggiamenti dei partner commerciali, e propugnare nelle sedi istituzionali, una politica di scambi con l’estero basata sul principio che squilibri persistenti della bilancia dei pagamenti, quale ne sia il segno, cioè siano essi surplus o deficit, devono essere simmetricamente combattuti, secondo il principio che abbiamo definito dell’External Compact.
Queste quattro linee guida hanno una serie d’implicazioni. Precisiamo subito le più importanti.
Riprendere il controllo della politica valutaria significa, in primo luogo, lasciare che il tasso di cambio nominale torni a un valore più allineato con i fondamentali dell’economia. Per l’Italia, oggi, ciò implica una svalutazione non catastrofica, di un ordine di grandezza verosimilmente inferiore a quello sperimentato dalla lira dopo la crisi del 1992, o dall’euro nei primi due anni della sua introduzione. In nessuno di questi due precedenti storici l’Italia è stata devastata dall’iperinflazione. Discuteremo fra breve, razionalmente, quale sarebbe l’impatto di questo provvedimento sul nostro tenore di vita. Ma riprendere il controllo della politica valutaria significa anche rientrare in possesso di uno strumento che consenta di difendersi da shock esterni, siano essi determinati da crisi economiche, siano essi il risultato di politiche deliberate di aggressione commerciale (nelle pagine precedenti abbiamo visto esempi dell’uno e dell’altro caso).
Riprendere il controllo della politica monetaria significa: